mercoledì 22 aprile 2015

Noi esseri umani tutti figli delle stelle


Ora c’è la conferma scientifica: siamo fatti della stessa materia

Ray Jayawardhana

"La Repubblica", 21 aprile 2015

Spesso dimentichiamo che a separarci dal resto dell’universo c’è solo un sottile strato d’atmosfera
Il ferro nel nostro sangue, il calcio nelle nostre ossa sono i resti di quegli oggetti luminosi

NELLA sua canzone Woodstock del 1970 Joni Mitchell cantò «Siamo polvere di stelle, [molecole] di carbonio di un miliardo di anni » e bruciò Carl Sagan sul fil di lana: accadde tre anni prima che quest’ultimo nel suo libro Contatto cosmico scrivesse che l’uomo è fatto di starstuff, materia stellare, concetto che in seguito avrebbe trasmesso a un pubblico molto più vasto nel suo documentario televisivo a puntate del 1980 intitolato Cosmos.


Oggi “polvere di stelle” e “materia stellare” sono diventati quasi cliché, ma non per questo la realtà dietro tali espressioni è meno profonda o meno magica.
Il ferro nel nostro sangue, il calcio nelle nostre ossa e l’ossigeno che respiriamo sono i resti materiali di stelle vissute e morte moltissimo tempo fa. Si tratta di una scoperta relativamente recente: quattro astrofisici hanno elaborato questo concetto in un documento pubblicato nel 1957, diventato poi una pietra miliare. I quattro sostenevano che quasi tutti gli elementi della tavola periodica si erano formati nel tempo per mezzo di reazioni nucleari che avvenivano all’interno di stelle — e non nei primi istanti del Big Bang come si supponeva in precedenza. La materia della vita, in altri termini, si manifestò in luoghi ed epoche per certi aspetti più accessibili alle nostre esplorazioni con il telescopio.
Tenuto conto che in stragrande maggioranza trascorriamo la nostra vita confinati in una stretta fascia in prossimità della superficie della Terra, siamo portati a pensare al cosmo come a un regno celeste sconfinato, molto al di là della nostra portata. Dimentichiamo che a separarci dal resto dell’universo c’è soltanto un sottile strato di atmosfera. Ancora oggi la scienza ci dimostra quanto la vita sulla Terra sia interconnessa ai processi extraterrestri. In particolare, alcune recenti scoperte hanno fatto luce sulle origini cosmiche degli ingredienti fondamentali della vita.
Prendiamo il fosforo. Si tratta di un componente essenziale del Dna, come pure delle nostre cellule, dei denti e delle ossa. Gli astronomi hanno faticato per ricostruirne la formazione in tutta la storia del cosmo, perché la traccia indelebile del fosforo è difficile da individuare nelle vecchie stelle fredde alla periferia della nostra galassia. (Alcune di queste “capsule temporali” stellari contengono le ceneri delle loro progenitrici, la prima generazione di stelle che si formò intorno all’alba dei tempi).
Ma in un documento pubblicato su The Astrophysical Journal Letters, un’équipe di ricercatori ha riferito di aver misurato la quantità di fosforo presente in tredici di queste stelle, utilizzando informazioni ottenute dal telescopio spaziale Hubble. Le loro scoperte mettono in luce il ruolo prioritario nella formazione degli elementi essenziali per la vita delle cosiddette ipernovae, esplosioni che rilasciano ancora più energia delle supernovae e che comportano la scomparsa di stelle enormi.
Nel regno celeste si produce qualcosa di più di semplici atomi. Numerose sono le prove dalle quali si evince che lo spazio interstellare fu anche il luogo nel quale gli atomi si unirono per formare alcune molecole collegate alla vita. Uno studio pubblicato su Science con alcune simulazioni informatiche è riuscito a ricostruire da dove proviene l’acqua della Terra. Il responso al quale si è arrivati è sorprendente: la metà dell’acqua presente sul nostro pianeta è più antica del sistema solare stesso. Ai gelidi confini di una gigantesca nube di gas si assemblarono primitive molecole di acqua. In quella nube si svilupparono il nostro Sole e i pianeti che vi orbitano attorno, e in qualche modo quelle molecole d’acqua sopravvissero ai rischi legati al processo di nascita dei pianeti per finire nei nostri oceani e, a quanto si crede, anche nei nostri corpi. Nubi interstellari di tal fatta si sarebbero potute benissimo prestare a dar vita a una molteplicità di molecole. In un altro studio dello scorso autunno pubblicato sempre su Science, un gruppo di ricercatori ha riferito la prima scoperta in una incubatrice stellare di una molecola contenente carbonio e avente una struttura “ramificata”. L’individuazione di tale molecola, hanno scritto gli scienziati, è di buon auspicio per preconizzare la presenza nello spazio interstellare di aminoacidi, dato che la struttura ramificata è una loro caratteristica fondamentale. (I ricercatori si sono avvalsi di un enorme network, operativo soltanto in parte, di antenne radio erette su un altopiano ad alta quota nel nord del Cile, posizione che rende più facile per le onde radio raggiungerci dai confini glaciali della nostra galassia, dove si presume che abbia avuto inizio l’alchimia della vita).
Gli astrochimici sono entusiasti per questa scoperta, perché gli aminoacidi — che sono già stati individuati in alcune meteoriti — costituiscono il presupposto delle proteine. Nel frattempo, il mese scorso alcuni scienziati della Nasa hanno reso noto di aver creato alcune componenti di base del Dna in un esperimento di laboratorio che simulava l’ambiente spaziale. Sommando tra loro gli esiti di queste ricerche, aumentano considerevolmente le probabilità che i cosiddetti “mattoni della vita” si siano formati nello spazio e si siano amalgamati alla materia che ha formato la Terra e gli altri pianeti.
Può anche darsi che l’universo ci appaia remoto, irreale e irrilevante, immersi come siamo negli agi materiali, affascinati dalle continue distrazioni della vita moderna, e che ciò accada soprattutto a chi vive in città. Ma la prossima volta che da un luogo buio di periferia darete un’occhiata alla Via Lattea in tutto il suo splendore, provate a pensare a tutte quelle innumerevoli stelle come a impianti nucleari e alle aree nebulose prive di stelle come a calderoni molecolari. A quel punto non ci vorrà molto prima che riusciate anche a immaginare i primordiali semi della vita che compaiono in lontananza.
© 2015 The New York Times. Traduzione di Anna Bissanti

Ray Jayawardhana è nato nello Sri Lanka. Si è formato ad Harvard e ora insegna astrofisica alla New York University

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