mercoledì 29 gennaio 2014

Correva l’anno 1910, il nichilismo conquistava l’Europa



Il saggio di Thomas Harrison sulle metamorfosi di una civiltà

Valerio Magrelli

“La Repubblica“, 28 gennaio 2014

Pochi anni fa, Paolo Conti pubblicò da Laterza un libro intitolato 1969. Tutto in un anno. Rispetto al celebre Sessantotto, il testo riscopriva eventi di vasta portata: Jan Palach a Praga, piazza Fontana a Milano, il divorzio in Italia, il festival di Woodstock, canzoni come Mi ritorni in mente di Battisti e Abbey Road dei Beatles, film quali Easy Rider e Fellini Satyricon, fino allo sbarco dell’uomo sulla Luna. Da parte sua, mesi fa, Florian Illies ha presentato 1913. L’anno prima della tempesta (Marsilio, pagg. 303, euro 19,50). Tra musica, arte e letteratura, l’autore studia Marcel Duchamp e Ludwig Kirchner, Stravinskij e Schönberg, quindi Kafka, Rilke, Brecht, scorgendo, sullo sfondo, Freud e Hitler. Ben diverso dal primo, più simile al secondo, appare adesso 1910. L’emancipazione della dissonanza, di Thomas Harrison (Editori Riuniti pagg. 330, euro 20).
Anche questo testo (uscito una quindicina d’anni fa per l’University of California Press di Berkeley) parte da congiunture impressionanti. Se il 19 aprile Sigmund Freud e la Società psicoanalitica di Vienna, sgomenti di fronte al crescere dei suicidi nella gioventù austro-ungarica, dedicano al tema un’apposita conferenza, il 17 ottobre 1910, a Gorizia, il ventitreenne filosofo e poeta Carlo Michelstaedter si uccide con la rivoltella, e mentre il 17 maggio la cometa di Halley turba i cieli d’Europa, alla fine di ottobre Max Weber, Martin Buber e Georg Simmel si incontrano nella Prima conferenza della Società tedesca di sociologia. Insomma, basterebbero queste notizie a giustificare l’affermazione di Virginia Woolf: «Intorno al dicembre 1910, il carattere dell’umanità cambiò».
Ma non è tutto. Nel medesimo anno compaiono i più angosciati autoritratti di Egon Schiele e Oskar Kokoschka, Schönberg abbandona le classiche strutture armoniche per l’atonalità, Freud menziona per la prima volta in uno scritto il complesso d’Edipo, Carl Schmitt pubblica Sulla colpa e i tipi di colpa, e Georg Simmel dà alle stampe La metafisica della morte. Contemporaneamente, il giovane tossicodipendente austriaco Georg Trakl comincia a scrivere «la più inquietante poesia della prima metà del secolo», e la sua controparte a sud delle Alpi, Dino Campana, getta le fondamenta dei Canti orfici: il primo, incestuosamente legato alla sorella, si ucciderà senza aver raggiunto la trentina, mentre il secondo, più o meno alla stessa età, sarà chiuso in manicomio.
Alla luce di simili materiali, Harrison intende mostrare la nascita di un atteggiamento comune al nichilismo in filosofia e all’espressionismo in arte, un atteggiamento segnato cioè dalla concezione della storia come incubo e dall’ossessione per l’estenuazione, la decadenza, la mortalità (cenni a suo tempo colti da Massimo Cacciari nel saggio sulla crisi del pensiero negativo). I protagonisti di questa data cruciale sono quindi poeti (George Trakl, Dino Campana, Rainer Maria Rilke), pittori (Wassily Kandinsky, Egon Schiele, Oskar Kokoschka), pensatori (György Lukács, Martin Buber, Georg Simmel, Scipio Slataper, Wilhelm Worringer), musicisti (Arnold Schönberg): «Al pari di Michelstaedter molti di questi personaggi erano ebrei e cittadini dell’impero austroungarico, morirono in giovane età e, a volte, per propria mano. Quasi tutti si dimostrarono tanto incerti nel governare i loro intenti quanto l’età in cui vissero lo fu nell’imboccare il proprio cammino».
Dando prova di una estrema capacità documentaria, spaziando dalla pittura alla musica, dalla filosofia alla sociologia, Harrison sceglie di soffermarsi in particolare sul capolavoro di Michelstaedter, La persuasione e la rettorica.
Infatti, a suo parere, in questo testo ha luogo un autentico collasso dell’io e dei suoi mezzi d’espressione, tanto da far pensare che la tradizione soggettivista della filosofia occidentale giunga al capolinea. Tale accesissima stagione culturale, va tuttavia precisato, non durò a lungo. Innanzitutto perché nel 1918 molti dei suoi protagonisti erano già morti o impazziti (Michelstaedter, Trakl, Schiele, Campana, Slataper, Marc e Boine), poi per l’incombere della Prima guerra mondiale: «Tra il 1914 e il 1918 tutto ciò che i pensatori del 1910 avevano lamentato — la deficienza d’essere, l’insuccesso della retorica razionale ed etica, la tragedia di tutti i tentativi di autodeterminazione, le lotte di ognuno contro tutti — trovò una conferma talmente vivida da far impallidire ogni precedente trattazione teorica».
Così, con la sicurezza e la competenza di un diagnosta, Harrison individua il ganglio nevralgico intorno a cui prese avvio la metamorfosi della nostra civiltà. Abbiamo cominciato citando Virginia Woolf. Sarà bene concludere con quanto il grande poeta tedesco Gottfried Benn scrisse sul 1910, «l’anno in cui tutte le impalcature cominciarono a crollare».

1910 L’emancipazione della dissonanza di Thomas Harrison, Editori Riuniti, pagg. 330 

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